Natale e precarietà, riflessioni sparse durante il giorno della vigilia

Lo so. Fin dal titolo è tangibile il senso di inadeguatezza. Natale e precarietà. Due parole concettualmente lontane ma che, oggi, nel giorno della vigilia, sono molto vicine. Almeno per me e per chi sta vivendo questa forma di disagio. Vera o verosimile.
Il disagio di cui parlo è in filodiffusione da tempo nelle orecchie di tanti. Ma in questi giorni, il volume è al massimo. Assordante, da non far dormire la notte.

La viglia di Natale, come il giorno di Capodanno, è quel giorno dell’anno in cui la mente si riempie di interrogativi. Domande alle quali non si ha una risposta. Si trovano solo altre diramazioni di domande che portano con sè dubbi.
Se non mi rinnovano il contratto del lavoro, che faccio? Come pago l’affitto? E le bollette? E la spesa? E quel viaggio che avevo pensato di organizzare? Come acquisto il biglietto del concerto a cui volevo assolutamente andare? E se mi ammalo?
Quando ho pensato di scrivere qualcosa su questa sensazione, di mezzo si è aggiunto anche il fattore di genere. Sono donna e ho 33 anni. Quante di voi hanno quest’età? O di più? Anche voi avete provato un ristringimento alla gola quando il ginecologo vi ha detto “sei sana, ma non aspettare i 40 anni per un figlio”? E ancora “non sei tanto tu ad invecchiare, ma le tue cellule”.
E quindi penso ad una parola: determinato. Non inteso come l’aggettivo che definisce un individuo con particolarità precise. Ma legato alla scadenza. Alla caducità. Quanti di voi sono determinati da questo punto di vista? Avete una scadenza? Di quale si tratta?

Non sto cercando chi sta come me o peggio di me per piangermi addosso. Certo, lo spazio per le lacrime e la disperazione c’è. Ci sarà sempre uno spazio per questo. È legittimo farsi queste domande. Forse alcune sono dosate in base all’ansia che ognuno ha, ma alzi la mano chi non si pone almeno una di queste domande!
Tuttavia, per me c’è una finestra che lascio sempre aperta in quello spazio. Chi mi conosce, sa che mi piace tenere le finestre aperte. È un modo per cambiare l’aria e rinfrescare quella presente nella stanza.

E da quella finestra dalla quale mi affaccio e respiro che cerco la speranza. Che non è proprio speranza. Cioè, non parlo tanto di speranza cristiana. Lì, topperei. Non ci credo e mi sento presa in giro.
Parlo più di un’altro tipo di speranza, da cercare nella spiritualità. Lì c’è una dimensione laica nella quale ripongo la mia speranza laica che nessuno può distruggere. E quanto vorrebbero gli altri distruggerla quella dimensione.
Ci provano eh, ma io non permetto a nessuno di farlo. Si scheggerà, questo è sicuro. Ma resiste, perché il collante sono io.

E chi si sente come me, faccia questa prova. Magari si sentirà meglio. Magari sorriderà. E starà meglio.
Me lo auguro per voi. Io ci sto provando.

Buona vigilia di Natale a chi è credente.
Buon relax a chi è laico.

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