L’Insulto, un trattato filosofico cinematografico. Un film necessario.

Orgoglio e dignità. Storia e religione. Umanità e sofferenza. L’insulto è un film necessario. E per fortuna qualcuno lo ha realizzato nel miglior modo possibile.
La storia della Palestina e del Libano è complessa, lunga e insidiosa. Ziad Doueiri è stato coraggioso. Estremamente coraggioso nel realizzare questo film. E grazie a Lucky Red per averlo distribuito in Italia.

Vincitore della Coppa Volpe al Festival di Venezia e candidato per il Libano agli Oscar 2018 come Miglior Film Straniero, L’insulto è un trattato filosofico cinematografico. Non c’è altro modo per definirlo.
L’insulto racconta circa un litigio. Un banale incidente porta Toni e Yasser in tribunale. Una questione privata tra i due si trasforma in un conflitto di incredibili proporziosi. Diventa un caso di Stato. Una sorta di regolamente di conti tra culture e religioni diverse. Toni è un libanese cristiano e Yasser un palestinese.
Oltre agli avvocati e familiari, al processo prendono parte – schierandosi – due fazioni opposte. Proprio questo processo mette in chiaro delle ferite mai rimarginate. Ci sono delle rivelazioni scioccanti che fanno riaffiorare un passato che brucia ancora. Un passato che pesa ed è carico di sofferenza.

Da una banale lite ad un’arringa finale in tribunale che è da brividi. Due generazioni, due religioni diverse. Un unico grande senso d’onore. Un’offesa che non riguarda l’identità della singola persona ma dell’intera popolazione.
Tuttavia, citando L’insulto, nessuno ha l’esclusiva sulla sofferenza. La lotta civile tra i profughi palestinesi e i cristiani libanesi dovrebbe cessare. O almeno essere mitigata. Come accade grazie ai due protagonisti.

Una frase del film che potrebbe riassumere perfettamente il claim della storia è “Mi chiedo se […] si possa […] considerare le scuse non una forma di debolezza ma di civiltà”.
Commovente e avvincente, L’insulto svela pian piano i quasi cinquant’anni di storia del Libano fatta di guerre e scontri. Un legal drama così non ne vedevo da tempo.  Ricco di colpi di scena che mantiene un certo ritmo e tiene alta sempre l’attenzione soprattutto sui discorsi.

Una curiosità riguardo il regista, è che al ritorno dal Festival di Venezia, è stato arrestato per collaborazionismo con il nemico. Infatti, l’accusa è stata quella di aver girato The Attack, il suo film precedente, in Israele. È stato bloccato nel 2013 e non è mai uscito al cinema. Qualche ora dopo lo hanno rilasciato.

 

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